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Trova la tua concorrenza e conquista il mercato

Trova la tua concorrenza e conquista il mercato

Alzi la mano chi non ha mai pensato che il proprio prodotto fosse così figo che non ci sarebbe stata competizione sul mercato oppure che “il prodotto si vende da solo” e i soldi in pubblicità sarebbero sprecati.

È un approccio molto comune e altamente rischioso. Indifferentemente dalla dimensione del tuo mercato ci sarà sempre qualcuno che prima o dopo di te cercherà di entrare per ritagliarsi una propria quota. Buttarsi senza aver fatto le giuste considerazioni non potrà che causare una perdita di soldi e risorse (oltre che farti venire una terribile gastrite). 

Se non vuoi masticare tavolette di antiacido per il resto della tua vita, continua a leggere.

Bene, mi dirai e da dove inizio? Semplice, andremo a recuperare tante più informazioni possibili sui tuoi concorrenti e a compilare dei grafici che ci aiuteranno a fare un confronto tra la tua offerta e la loro.

Step 1: quali informazioni

Prova a rispondere alle seguenti domande:

  • Quali aziende costituiscono la mia concorrenza?
  • Quale quota di mercato detengono rispetto a me?
  • Qual è l’area geografica di influenza?
  • Qual è l’andamento della mia quota di mercato rispetto ai miei principali concorrenti?
  • Qual è stato il margine di crescita o di riduzione della quota di mercato per la mia azienda e prodotto negli ultimi cinque anni?
  • Quanto è conosciuto il mio brand rispetto alla concorrenza?
  • Qual è il mio target clienti? È sovrapponibile a quello della concorrenza?
  • Quali sono i punti di forza e di debolezza dei miei prodotti rispetto a quelli della concorrenza?
  • Com’è la qualità del servizio clienti?
  • I miei prezzi sono uguali, superiori o inferiori rispetto a quelli della concorrenza?
  • La mia strategia di distribuzione è diversa da quella dei concorrenti?
  • I dati finanziari sono comparabili? 

Step 2: i tools per la ricerca informazioni

Questa è una lista dei tools più comuni per una ricerca a costo zero (o quasi):

  • Google Trends: inizia digitando il brand, prodotto o categoria a cui sei interessato, poi puoi scegliere se inserire un confronto con max 4 altre query o affinare la ricerca per area geografica o tipologia di ricerca.
  • Google Alerts: permette di tenere sotto controllo menzioni del proprio brand o di quello della concorrenza e news su determinati argomenti.
  • Google Predictive Search: apri una finestra di Google Chrome in incognito, digita il tuo brand o quello della competizione, il nome prodotto, ecc. e prova diverse combinazioni di ricerca.
  • LinkedIn: con 500+ milioni di iscritti è il luogo principale dove trovare clienti e concorrenti.
  • Twitter: indispensabile per il social listening, permette di seguire trend, influencer e competitor.
  • Ubersuggest: permette di analizzare i siti web della competizione per recuperare informazioni sulla strategia SEO, content marketing e social media.
  • Buzzsumo: permette di analizzare la performance dei contenuti su un dato argomento o concorrente.
  • Sondaggi, interviste e panel con la propria audience: non mi stancherò mai di ripeterlo, devi conoscere il tuo cliente ideale, parlarci e chiedergli quali prodotti usa, perché, quali features apprezza e quali no e quanto è disposto a spendere per un servizio alternativo.

Step 3: la metodologia

Ora che hai raccolto brochure, annual reports, comunicati stampa, articoli vari sulla tua competizione, sei pronto per organizzare le informazioni. Inizia col compilare una tabella Excel o simili con i dati, poi scegli la metodologia più idonea a seconda dei dati e degli obiettivi. 

Per iniziare ti suggerisco:

  • Analisi SWOT: analisi strategica che permette di confrontare punti di forza e debolezza, opportunità e minacce del mercato.
  • 5 forze di Porter: Concorrenti, Potenziali entranti, Prodotti sostitutivi, Fornitori, Clienti
  • Moon Chart: è una tabella in cui nella colonna di sinistra si trovano i criteri da paragonare e nelle altre colonne la nostra azienda e i competitors. Si usa l’immagine della luna con i vari quarti per indicare l’importanza del valore.
  • Radar Chart (diagramma di Kiviat): i criteri sono rappresentati da raggi che hanno origine da un centro e formano angoli uguali tra loro. La distanza dal centro del punto marcato sul raggio è proporzionale al valore della variabile rispetto al valore massimo raggiungibile.
  • Bubble Chart: è un grafico che permette di analizzare tre dimensioni (2 negli assi e 1 nella dimensione della bolla)

Step 4: analisi dei risultati

È la parte più difficile, perché prevede di prendere delle decisioni avendo in mano solo informazioni parziali. Al termine dell’analisi dovresti riuscire ad identificare delle aree di mercato che la tua competizione non copre e formulare ipotesi sul motivo. Ad esempio i potenziali clienti sono numericamente troppo pochi, sono concentrati in un’area geografica limitata, non manifestano un bisogno che è economicamente vantaggioso coprire, ecc. Ricorda che quello che non è interessante per la tua concorrenza, può essere invece oro per te. 

Se hai bisogno di un supporto per migliorare la competitività della tua azienda, contattaci e scopri cosa Umbria Business Group può fare per i propri soci.

Leggi gli altri post di questa serie:

Consulenza aziendale: breve guida per imprenditori

Analisi di mercato in 3 semplici passaggi

5 cose da fare prima di affrontare il crowdfunding

5 cose da fare prima di affrontare il crowdfunding

Condividiamo un post di Alessandro Veracchi, founder di Evonove su come affrontare una campagna di Crowdfunding. Alessandro racconterà la sua esperienza su Kickstarter dopo il grande successo del gioco Barbarians: The Invasion durante il nostro evento del 29/11 a Perugia sul Crowdfunding come finanziamento per le startup e le PMI.

Il crowdfunding è una forma di raccolta fondi alla portata di tutti, ma da affrontare consapevolmente per massimizzare le possibilità di successo.

Conoscere i quattro tipi di crowdfunding: Charity, Loaning, Reward ed Equity.

Il crowdfunding può essere eseguito tramite differenti modalità e differenti piattaforme, ognuna con le sue regole, prassi, metodiche e pubblico di riferimento. Utilizzare una modalità non adatta al tipo di progetto o agli obiettivi preposti può limitare ampiamente i risultati. È quindi importante per l’imprenditore conoscere appieno le possibilità che ha a disposizione in maniera da poter scegliere quella che si rivela più adatta alle sue esigenze.

Informarsi da un buon commercialista: le spese inaspettate possono danneggiare un progetto di successo.

Sebbene con modalità innovative e diverse dal solito, il crowdfunding nella sua essenza resta una ricerca di fondi per un’attività imprenditoriale ed è un gravissimo errore non muoversi seguendo un business plan accurato. Un progetto di crowdfunding di successo deve essere una macchina autonoma capace di finanziarsi da sola ed è fondamentale non incorrere in spese impreviste. In uno stato altamente burocratizzato come l’Italia è facile ignorare l’esistenza di tasse o regolamentazioni fino al momento in cui impattano sul progetto. Consultandosi con un professionista durante la stesura di un business plan diventa quindi una parte vitale nel processo di pianificazione di una campagna crowdfunding per evitare sorprese.

Trovare una buona idea: nessun tipo di marketing può compensare l’assenza di un’idea vincente.

Sono innumerevoli le campagne di crowdfunding che sembrano avere tutto in regola, ma finiscono per non raggiungere il proprio obiettivo. E’ possibile applicare svariate strategie di marketing per aumentare la possibilità di successo di una campagna di crowdfunding, ma alla fine dei conti sarà sempre l’idea a vincere ed una campagna basata su un’idea poco valida sarà svantaggiata sin dal principio.

Costruire una community: trova persone capaci di condividere e sostenere la tua visione.

Il motore di ogni campagna di crowdfunding sono le persone capaci di condividere la tua stessa visione e passione per un progetto. Per sua stessa natura, il crowdfunding può funzionare solo se sei in grado di trovare queste persone e di narrare la tua storia e la tua idea. E’ importante fare questo prima della campagna di crowdfunding, in maniera da avere un pubblico eccitato, pronto a supportarti e a condividere il tuo percorso verso il successo.

Avere passione: l’unico vero motore di ogni attività imprenditoriale.

Uno dei massimi esperti di crowdfunding al mondo sostiene che una campagna su Kickstarter è l’equivalente di un concerto rock per un imprenditore. La piattaforma è il tuo palcoscenico ed in una certa finestra temporale tutti i riflettori saranno puntati su di te. Dovrai coordinare un team multidisciplinare con tempistiche serrate e scadenze improrogabili. Con grande probabilità dovrai farlo mentre ti interfacci con un pubblico anglosassone ed in orari statunitensi. Senza passione per quello che si sta facendo, non è possibile affrontare tutti gli aspetti che il crowdfunding inevitabilmente porta con sé.

Le sfide dell’Industria 4.0 per lo sviluppo armonico della PMI

Le sfide dell’Industria 4.0 per lo sviluppo armonico della PMI

L’industria 4.0, l’Internet of Things (IoT), l’intelligenza artificiale, il cloud computing e più in generale la digital transformation sono fattori che stanno cambiando enormemente il modo di fare impresa.

Non si tratta dell’implementazione di nuovi sistemi, di nuove tecnologie o di digitalizzare qualche processo ma di un cambiamento radicale che impatta inevitabilmente sul modo di pensare: una rivoluzione dirompente che riguarda le aziende di ogni settore e in ogni fase del proprio Ciclo di Vita. Alla base di questa trasformazione ci sono i dati: la loro raccolta, la loro gestione e la loro analisi (data driven). La sfida è inevitabile, l’impresa non può affrontare questo passaggio epocale se non attraverso l’adozione di modelli manageriali con un cambio di passo in termini culturali e organizzativi che impattano in maniera multidisciplinare su tutta l’azienda. La trasformazione digitale, passa dunque per la creazione di una cultura aziendale che percepisca i dati come una risorsa strategica che alimenta ogni fase del processo decisionale. I livelli di competitività dell’impresa sono tanto più elevati quanto maggiore è il suo grado di flessibilità e adattabilità al contesto in cui opera. La sua capacità di risposta in termini di produttività ed efficienza, è strettamente legata alla capacità di innovare e pianificare le proprie strategie in modo puntuale, analitico attraverso l’innesto di una gestione razionale del dato.

La raccolta, la gestione e l’analisi dei dati sono attività divenute necessarie per lo sviluppo dell’impresa tanto che l’approccio data driven risulta indispensabile per prendere decisioni e creare strategie. Non possiamo più permetterci di snobbare l’enorme mole di dati disponibili basando le politiche aziendali sull’intuito, formulando scelte “di pancia” o andando, come si dice, “a naso”. I processi di business governance, in ogni ambito della vita aziendale, devono essere supportati da un approccio analitico basato sui dati e sull’impiego di adeguati modelli di analisi.

Un approccio manageriale data driven implica una struttura organizzativa all’interno della quale si sviluppino da un lato, le condizioni per favorire una sensibilità verso l’importanza strategica del dato, e dall’altro, si integrino ai processi operativi già informatizzati, quelli di Data Quality, Data Integration e Data Governance. L’attenzione va riposta all’intero ciclo di vita del dato: deve essere affidabile, accurato e pronto per gli scopi previsti. La qualità dei dati è un elemento imprescindibile per aumentarne l’efficacia nei processi aziendali.

L’integrazione dei dati permette di combinare e unire informazioni provenienti da sistemi diversi, ottenendo una vista di sintesi (sistemica) dei fenomeni analizzati immediata e coerente con le esigenze aziendali. È come realizzare un puzzle a partire da singoli pezzi provenienti da scatole diverse. Tutti i dati rilevanti e strategici devono essere gestiti formalmente a livello enterprise: le strategie di gestione dei dati devono allinearsi alle strategie aziendali coinvolgendo risorse, processi e tecnologie di impiego del dato.

Il patrimonio informativo aziendale deve essere valorizzato trasformandolo in un vero e proprio asset strutturale. L’implementazione di logiche di processo di gestione del dato, in grado di canalizzare correttamente i flussi informativi, le adeguate competenze di analisi e impiego dei dati, unitamente ad opportuni strumenti tecnologici rappresentano il mix di componenti che occorre gradualmente introdurre all’interno dell’impresa.

Applicare il Data Driven Management, in sintesi, significa mettere l’impresa nelle condizioni di aprirsi a nuove opportunità di business, accogliendo strumenti e metodologie operative in grado di sviluppare nuovi prodotti e nuovi servizi, di migliorare l’efficienza operativa ottimizzando i costi e il processo decisionale attraverso l’impiego di modelli di analytics. Grazie al supporto di avanzati modelli di analisi, l’impresa è in grado di scoprire le tendenze del mercato, conoscere in anticipo trend e decifrare il comportamento dei consumatori. Segmentazione analitica della domanda, definizioni di campagne di marketing mirate, strategie di up selling e cross selling sono solo alcune delle possibilità innescate dai processi di data analysis.

La cultura del data driven management resta di fatto l’elemento portante del processo di cambiamento delle imprese, senza il quale difficilmente si riuscirà ad innescare processi di innovazione tali da garantire agilità e flessibilità di business necessari per rimanere competitivi negli attuali contesti di mercato. Le tecnologie sono abilitanti, i dati sono la materia prima e i modelli di analisi sono lo strumento, ma è alle persone che è affidata l’azione: se essa non è guidata dalle analisi allora nessun dato è in grado di condurre ad un beneficio, nonostante le avanzate e innovative tecnologie disponibili.

In definitiva, solo attraverso decisioni basate sui dati, possono raggiungersi in modo continuativo obiettivi di crescita.

Articolo di Fabrizio Galeazzi e Francesco Stefani

Spunti per dare inizio al tuo processo di internazionalizzazione

Spunti per dare inizio al tuo processo di internazionalizzazione

In Economia e in relazione ai mercati internazionali, la globalizzazione, termine reso popolare dall’economista Theodore Levitt, descrive un processo di omologazione e integrazione che, come effetto, ha la creazione di legami di interdipendenza tra gli attori in gioco nel contesto internazionale.

L’effetto che il processo di globalizzazione ha sortito nell’epoca attuale, è la standardizzazione delle modalità produttive e strategiche e, quindi, dei prodotti/servizi, basti pensare all’ISO, a Six Sigma o al Metodo Toyota. Questo fenomeno non appare più nuovo ai nostri occhi, essendo da tempo parte della nostra quotidianità.

Oggi, e da diverso tempo, ogni singola azienda si trova a competere, nella corsa al mantenimento e all’acquisizione dei clienti, con una miriade di realtà economiche, geograficamente e culturalmente vicine o lontane, fisicamente accessibili (brick-and-mortar) o nel Cloud (digital).

Di qui la necessità impellente di internazionalizzare la propria azienda per far fronte alla variegata concorrenza e proporre i propri prodotti/servizi all’esterno dei confini nazionali.

Possiamo dire che porre in essere un processo di internazionalizzazione della propria azienda sia la naturale risposta alla globalizzazione la quale, in altro modo, vedrebbe l’azienda stessa consumarsi sotto i suoi colpi e subire la maggiore competitività e influenza dei player internazionali.

I dati del Ministero dello Sviluppo Economico mostrano che nel periodo gennaio-novembre 2016 l’export italiano ha raggiunto il valore di 380.772 miliardi di euro, una crescita del +0,7% rispetto all’anno precedente. Solo nel 2016 sono state 200.240 le imprese italiane che hanno avviato o consolidato la loro presenza nei mercati UE ed extra-UE. Dall’altro lato vediamo invece il preoccupante dato che mostra 390 aziende chiudere ogni giorno per la saturazione del mercato interno (ca. 142.000 in un anno).
Da uno studio condotto da UPS, infatti, emerge che gli imprenditori, specialmente quelli a capo di Piccole e Medie Imprese che hanno deciso di affacciarsi ai mercati esteri, hanno registrato una crescita dei ricavi che ha permesso loro di portare avanti il proprio business.

Risulta che il nostro sbocco economico preferito sia l’Unione Europea (Germania e Francia, in particolare), mentre tra i mercati extra-UE spicchino gli Stati Uniti.

Ricerche recenti, tra cui il rapporto dell’Osservatorio PMI di Global Strategy, hanno sottolineato come, tra le PMI che hanno riportato risultati concreti, ci siano soprattutto quelle che hanno mirato all’innovazione e all’internazionalizzazione. Negli anni della crisi 2010-2014 le imprese che hanno scommesso su innovazione e internazionalizzazione sono cresciute a ritmi superiori rispetto alle concorrenti che non hanno seguito il medesimo percorso.

Dallo stesso studio di UPS citato prima emerge inoltre che, nonostante il guizzo positivo dell’espansione verso l’estero, molte delle imprese presentano ancora alcune lacune penalizzanti:

  1. scarsa conoscenza delle nuove tecnologie e degli strumenti disponibili;
  2. scarsa conoscenza delle lingue e delle culture straniere;
  3. scarsa conoscenza del proprio prodotto e delle potenzialità della propria azienda;
  4. assenza, a volte totale, di strategie.

Un check-up approfondito, nel momento in cui si decide di dare avvio al proprio processo di internazionalizzazione, è alla base della conoscenza delle proprie capacità e potenzialità imprenditoriali e di prodotto/servizio, al fine di selezionare il mercato più adatto al quale rivolgersi.

Una soluzione che pochi valutano è quella offerta dal web, in particolare, dagli strumenti di e-commerce che permettono di testare l’approdo in mercati poco conosciuti. L’e-commerce consente di valutare sin da subito la capacità di assorbimento potenziale dei mercati selezionati e la risposta dei consumatori al prodotto/servizio proposto.

La competenza linguistica è sicuramente la chiave di accesso ai mercati esteri nel processo di internazionalizzazione (abbreviato di consueto a i18n in questo ambito) della propria impresa. Avere nel proprio organico figure professionali, con alta competenza linguistica e conoscenza della cultura del paese a cui ci si rivolge, è fondamentale per creare e consolidare il rapporto con i nuovi clienti. Rafforza la fiducia e trasmette serietà a chi osserva dall’esterno, ancor di più se osserva dall’estero.

L’ultimo punto, che sicuramente tocca nel profondo gli imprenditori italiani, è la certificazione e tracciabilità del proprio prodotto (si veda su tutti lo standard ISO 22005:2008, sulla rintracciabilità dei sistemi alimentari). Il Made in Italy è stato sempre un brand potente che ha permesso alla nostra nazione un vantaggio nelle esportazioni. I nostri prodotti, oggi, vengono copiati e la loro provenienza contraffatta in maniera spesso grossolana (il c.d. “Italian sounding“), con lo stupore degli imprenditori italiani che scoprono la difficile riconoscibilità dagli originali a un occhio straniero. Quindi, certificare e tracciare il proprio prodotto, non solo permette di salvare dalla contraffazione, ma garantisce ed evidenzia la serietà della propria azienda.

Questo breve articolo si propone di dare uno spunto ai lettori per iniziare un’analisi del proprio contesto lavorativo e le possibili evoluzioni che il porre in essere un processo di internazionalizzazione potrebbe apportare in termini funzionali ed economici.

Buon lavoro!

Articolo di Lucia Fioravanti e Omar Schiavoni

CORM Calling: una buona semina per una buona fioritura!

CORM Calling: una buona semina per una buona fioritura!

Pubblichiamo con piacere un post di Omar Schiavoni, Business Development Executive presso Training Express e membro del team Umbria Business Group.

Vi starete chiedendo cosa abbiano in comune i bulbi (corms in inglese) come gladioli, fresie, iris, ecc., con il business development e le attività al telefono!

 CORM è un portmanteau stravagante e può sembrare leggermente ingannevole, ma lo trovo utile per parlare delle tattiche di COld e waRM calling e della loro armonizzazione. Come per la coltivazione dei fiori in giardino, il corm calling richiede anch’esso cura per i particolari, pazienza e una buona dose di fortuna.

Cold vs. Warm

Conosciamo tutti queste espressioni, ma ricapitoliamole di seguito:

  • cold calling è l’attività di vendita telefonica a potenziali clienti con cui non si è mai entrati in contatto precedentemente
  • warm calling è l’attività di vendita telefonica preceduta da qualsiasi tipo di contatto col potenziale cliente o prospect.

I numeri ci aiutano a definire meglio l’impatto dei due metodi: le attività di cold calling generano una media di buon esito del 2%, mentre quelle di warm calling raggiungono una media del 30%. Evidentemente, le campagne SEO/SEM/DEM, gli eventi e le conoscenze lavorano in maniera proficua per i nostri obiettivi, se paragonate alla fredda (cold) ricerca di aghi nel pagliaio.

Ma ciò significa che dovremmo smettere di chiamare prospect con cui attualmente non abbiamo avuto nessun tipo di contatto?

Ogni professionista della vendita deve ammettere che sono state le attività di cold calling a dare inizio alla propria carriera. Chiamando “a freddo” ci siamo messi alla prova e, probabilmente, abbiamo migliorato le nostre abilità di vendita. Alzare la cornetta e presentarsi in maniera diretta, riga dopo riga della nostra lista di prospect, ci ha permesso di fare esperienza e accrescere le nostre capacità per “conquistare quel centralino”, riuscendo a parlare con qualcuno dei piani alti. Ciò ha richiesto tenacia, prontezza, devozione agli obiettivi e astuzia. Una sorta di pozione magica impossibile da preparare senza studio, formazione e talento.

Interessante, a tal proposito, il sondaggio effettuato da DiscoverOrg secondo cui il 60% di un campione di 1.000 dirigenti nel settore dell’Information Technology ha fissato un appuntamento o ha partecipato a un evento a seguito di una chiamata inattesa o un’e-mail non richiesta.

Quindi, risulta utile la dicotomia cold vs. warm?

Ciò che rende una chiamata “gradita” (warm) è, in realtà, il fatto che il destinatario sia stato avvisato o in attesa di riceverla. Se non siamo nella sua agenda, considererei la chiamata un’attività di cold calling.

In qualsiasi modo, il mio consiglio è di non perdere tempo a tenere conto se le nostre attività sono di cold o warm calling. Basta renderle il più gradite possibile! Fare del nostro meglio per permettere che ogni chiamata “fiorisca”.

Pensate che il destinatario si ponga la domanda? Se stia ricevendo una chiamata cold o warm?

Non potrebbe, invece, la reputazione delle due attività essere condizionata dal comfort provato dal commerciale nel chiamare in una situazione o nell’altra?

Infine, considerate ancora chiamare senza alcun contatto precedente la maniera più “fredda” di connettersi coi referenti, avendo così tante informazioni disponibili online su di loro?

Personalmente, ho sperimentato esiti negativi da referenti che conoscevo da anni e, invece, super-positivi da parte di compagnie di prima grandezza con le quali non sarei mai potuto entrare in contatto se non chiamando “a freddo” in prima istanza.

Anche se la SEO e le attività di PPC hanno un costo inferiore di acquisizione di nuovi clienti, non risultano efficaci per contattare i grandi nomi del panorama economico mondiale. Costi bassi di acquisizione, di solito, significano opportunità di piccola entità economica.

È chiaro che le aziende non possono basare le proprie strategie esclusivamente sull’inbound marketing. Rischierebbero così di non raggiungere le opportunità più interessanti nel mercato. Combinando, invece, le due categorie di attività (inbound e outbound), i sistemi di informatizzazione dei processi relativi al marketing possono tornare particolarmente utili nel fornire ai commerciali dati per identificare prospect interessati ai prodotti e servizi dell’azienda per cui lavorano, ma non coperti dalle attività nel web. È di certo utile, ma non ci libera dallo sforzo di contattare attivamente, tramite e-mail, social media o… CHIAMANDO!

Mettiamo le parole in azione: CORM up a call!

Se chiamare direttamente ti rende ansioso o se stai cercando di migliorare il tuo modo di chiamare, prendi in considerazione questi semplici passaggi:

PREPARAZIONE:

  • Qual è l’obiettivo? Concentrati su di esso! Qual è l’azione che vuole scatenare nel destinatario la tua chiamata?
  • Qual è il giusto target? Crea liste suddivise per, ma non solo, settore e fatturato aziendale.
  • Chi è il referente per il servizio o prodotto che proponi? Comincia a scavare sotto ai tuoi piedi o se non vuoi sporcarti le mani, controlla nel web! Ciò ti permette di individuare le loro possibili necessità e, anticipandoli, fornire delle soluzioni ad hoc. Questo è il modo migliore per colpire l’attenzione e far sì che il messaggio rimanga nelle loro menti.

AZIONE:

  • Come presentarti? In maniera chiara, sincera e rispettosa. Non sei la prima persona che chiama per vendere e stai, inoltre, occupando il loro tempo, perfino quello del centralinista.
  • Aggiorna la tua lista mentre stai chiamando. Il tuo interlocutore potrebbe fornirti informazioni che non avresti mai potuto trovare online. Chiedi! Potrebbero illuminare la via ai referenti cruciali per il tuo servizio/prodotto e permetterti di utilizzare il loro nome come referenza.
  • Come andare avanti nella chiamata? Dovresti essere pronto a rispondere in maniera dettagliata rispetto ai servizi che offri! Fornisci dei casi pratici in cui la tua azienda ha trovato delle soluzioni ad hoc per quel settore e quella richiesta specifica. Metti il piede nella porta più che puoi.
  • Non è il momento adatto per parlare? Chiedi un momento migliore in cui chiamare.
  • Non mollare! Rispetta la loro gentilezza, ma sii perseverante allo stesso tempo. Potrebbero occorrere anche 4 chiamate prima di chiudere la prima vendita.

Di nuovo, ciò che conta non è se la chiamata è warm o cold. Ogni contatto è un’opportunità. La chiave di tutto è avere un obiettivo, selezionare il target di riferimento e trovare un approccio che ti permetta di rendere la chiamata più piacevole possibile.

Good Luck!

 

Immagine: Iris di Vincent van Gogh

Omar Schiavoni è Business Development Executive presso Training Express. Ha esperienza nella gestione di clienti di media/grande dimensione nel settore dell’Educational Technology, Localization&Translations e Digital Marketing. Ha lavorato in diversi settori incluso il medicale, legale/finanziario, vendite/marketing, editoria e tecnico. Ha una laurea in Comunicazione Internazionale e un Master in Project Management.