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In Economia e in relazione ai mercati internazionali, la globalizzazione, termine reso popolare dall’economista Theodore Levitt, descrive un processo di omologazione e integrazione che, come effetto, ha la creazione di legami di interdipendenza tra gli attori in gioco nel contesto internazionale.

L’effetto che il processo di globalizzazione ha sortito nell’epoca attuale, è la standardizzazione delle modalità produttive e strategiche e, quindi, dei prodotti/servizi, basti pensare all’ISO, a Six Sigma o al Metodo Toyota. Questo fenomeno non appare più nuovo ai nostri occhi, essendo da tempo parte della nostra quotidianità.

Oggi, e da diverso tempo, ogni singola azienda si trova a competere, nella corsa al mantenimento e all’acquisizione dei clienti, con una miriade di realtà economiche, geograficamente e culturalmente vicine o lontane, fisicamente accessibili (brick-and-mortar) o nel Cloud (digital).

Di qui la necessità impellente di internazionalizzare la propria azienda per far fronte alla variegata concorrenza e proporre i propri prodotti/servizi all’esterno dei confini nazionali.

Possiamo dire che porre in essere un processo di internazionalizzazione della propria azienda sia la naturale risposta alla globalizzazione la quale, in altro modo, vedrebbe l’azienda stessa consumarsi sotto i suoi colpi e subire la maggiore competitività e influenza dei player internazionali.

I dati del Ministero dello Sviluppo Economico mostrano che nel periodo gennaio-novembre 2016 l’export italiano ha raggiunto il valore di 380.772 miliardi di euro, una crescita del +0,7% rispetto all’anno precedente. Solo nel 2016 sono state 200.240 le imprese italiane che hanno avviato o consolidato la loro presenza nei mercati UE ed extra-UE. Dall’altro lato vediamo invece il preoccupante dato che mostra 390 aziende chiudere ogni giorno per la saturazione del mercato interno (ca. 142.000 in un anno).
Da uno studio condotto da UPS, infatti, emerge che gli imprenditori, specialmente quelli a capo di Piccole e Medie Imprese che hanno deciso di affacciarsi ai mercati esteri, hanno registrato una crescita dei ricavi che ha permesso loro di portare avanti il proprio business.

Risulta che il nostro sbocco economico preferito sia l’Unione Europea (Germania e Francia, in particolare), mentre tra i mercati extra-UE spicchino gli Stati Uniti.

Ricerche recenti, tra cui il rapporto dell’Osservatorio PMI di Global Strategy, hanno sottolineato come, tra le PMI che hanno riportato risultati concreti, ci siano soprattutto quelle che hanno mirato all’innovazione e all’internazionalizzazione. Negli anni della crisi 2010-2014 le imprese che hanno scommesso su innovazione e internazionalizzazione sono cresciute a ritmi superiori rispetto alle concorrenti che non hanno seguito il medesimo percorso.

Dallo stesso studio di UPS citato prima emerge inoltre che, nonostante il guizzo positivo dell’espansione verso l’estero, molte delle imprese presentano ancora alcune lacune penalizzanti:

  1. scarsa conoscenza delle nuove tecnologie e degli strumenti disponibili;
  2. scarsa conoscenza delle lingue e delle culture straniere;
  3. scarsa conoscenza del proprio prodotto e delle potenzialità della propria azienda;
  4. assenza, a volte totale, di strategie.

Un check-up approfondito, nel momento in cui si decide di dare avvio al proprio processo di internazionalizzazione, è alla base della conoscenza delle proprie capacità e potenzialità imprenditoriali e di prodotto/servizio, al fine di selezionare il mercato più adatto al quale rivolgersi.

Una soluzione che pochi valutano è quella offerta dal web, in particolare, dagli strumenti di e-commerce che permettono di testare l’approdo in mercati poco conosciuti. L’e-commerce consente di valutare sin da subito la capacità di assorbimento potenziale dei mercati selezionati e la risposta dei consumatori al prodotto/servizio proposto.

La competenza linguistica è sicuramente la chiave di accesso ai mercati esteri nel processo di internazionalizzazione (abbreviato di consueto a i18n in questo ambito) della propria impresa. Avere nel proprio organico figure professionali, con alta competenza linguistica e conoscenza della cultura del paese a cui ci si rivolge, è fondamentale per creare e consolidare il rapporto con i nuovi clienti. Rafforza la fiducia e trasmette serietà a chi osserva dall’esterno, ancor di più se osserva dall’estero.

L’ultimo punto, che sicuramente tocca nel profondo gli imprenditori italiani, è la certificazione e tracciabilità del proprio prodotto (si veda su tutti lo standard ISO 22005:2008, sulla rintracciabilità dei sistemi alimentari). Il Made in Italy è stato sempre un brand potente che ha permesso alla nostra nazione un vantaggio nelle esportazioni. I nostri prodotti, oggi, vengono copiati e la loro provenienza contraffatta in maniera spesso grossolana (il c.d. “Italian sounding“), con lo stupore degli imprenditori italiani che scoprono la difficile riconoscibilità dagli originali a un occhio straniero. Quindi, certificare e tracciare il proprio prodotto, non solo permette di salvare dalla contraffazione, ma garantisce ed evidenzia la serietà della propria azienda.

Questo breve articolo si propone di dare uno spunto ai lettori per iniziare un’analisi del proprio contesto lavorativo e le possibili evoluzioni che il porre in essere un processo di internazionalizzazione potrebbe apportare in termini funzionali ed economici.

Buon lavoro!

Articolo di Lucia Fioravanti e Omar Schiavoni