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Please allow me to introduce myself: lezioni di Personal Branding

Please allow me to introduce myself: lezioni di Personal Branding

Qualche giorno fa, durante una delle mie aule, ho chiesto ai partecipanti di darmi una definizione dell’azienda per la quale lavorano. Sono partiti slogan e, altisonanti metafore, ma in sostanza nessuno mi diceva cosa facesse esattamente quell’organizzazione.

Questo perché alcune aziende oggi sono veramente difficili da definire (leading company, knowledge company, per non parlare di un ever green come consultancy company) e anche perché tendiamo sempre più spesso a “sponsorizzare” un concetto, piuttosto che a renderlo identificativo di un qualcosa.

Di fronte al mio costante scuotere la testa: “mi stai dando un pay-off” – “è una buona idea se facessimo un spot radiofonico” – “si capisce ancor meno di prima cosa fa sta benedette azienda” si sono infiammati leggermente gli animi. Nell’agitazione generale è saltata fuori anche la domanda: “ma perché hai tutta questa necessità di avere una “definizione”?”

Perché definire qualcosa non serve tanto a dargli una forma, a farlo diventare concreto, usabile, ma sicuramente da quel momento in poi è possibile comunicarlo. Ho chiesto allora se sapessero definire un brand più semplice (più o meno): se stessi.

Panico!

In primis, panico da aspettative (“sicuramente vorrà sentirsi dire cose specifiche… è un formatore del resto!”). Poi, panico da wording (“sarà meglio dire furbo o arguto?”). Ed infine, panico da contenuti (“come faccio a dare una definizione di me, essere complesso e articolato, fatto di esteriorità e sostanza?”).

Questa esperienza mi ha permesso, così, di riflettere su due cose importanti: chi siamo e come siamo. Concetti abbastanza complicati se presi così, tout court, ma se analizzati in una specifica strategia di comunicazione, possono dare spunti interessanti sul Personal Branding:

  • Il “Chi sono?” è dato dal cosa faccio (come lavoro, come persona nella società)
  • Il “Come sono?” è spesso legato ad aspetti fisici, dai quali si possono dedurre anche aspetti più intimi e personali (“come capirai, non sono uno sportivo” perché la di là della cinta spuntava un po’ di pancetta)

In ottica strategica basta sintetizzare questi due punti per ottenere una prima definizione di sé? Magari!

Per definire il proprio brand, e di conseguenza comunicarlo, le domande devono essere esplose, rese più articolate. Uno spunto interessante l’ho trovato grazie ad Annamaria Testa, in un suo articolo su Internazionale (link). Il suo racconto è concentrato su questo: “C’è qualcosa – una cosa qualsiasi – che sai fare bene?”

Rispondere a questa domanda serve non solo alla costruzione della consapevolezza di sé (che è una gran bella cosa) ma serve soprattutto a darci elementi per costruire un corretto storytelling di noi stessi. L’elenco di risposte possibili è potenzialmente infinito (almeno nelle categorie di azioni): ad esempio, io so parlare bene con le Persone (attività che presuppone skills relazionali) e al contempo so lavorare bene all’uncinetto (attività che prevede skills tecniche).

Andiamo ora al “Come sono?”.

Questa domanda mi ha fatto riflettere su una cosa specifica: i miei capelli. La mia testa è sempre stata popolata da indomabili e indisciplinati ricci rossi. Da piccola “essere una persona ordinata” (nel senso estetico del termine) mi ossessionava. Poi ad un certo punto, probabilmente per semplice reazione, mi sono trovata a pensare che invece avere una testa popolata da indomabili e indisciplinati ricci rossi…è una figata!

Sono stata probabilmente vittima (positiva) della profezia che si autoavvera, ma il raccontare storie sui miei capelli mi ha concesso di potermi descrivere meglio e di smettere di odiare quell’aggettivo: ordinata!!!

Ecco che con i giusti esempi il Personal Branding diventa concreto e possibile. Un’azione di questo tipo consente di costruire una strategia dietro la comunicazione di fatti, comportamenti, attitudini, caratteristiche. In conclusione, non va dimenticato che il Personal Branding è un processo e come tale ha bisogno di programmazione e aggiornamento continuo.

L’autore dell’articolo, Mara Loccisano (https://www.linkedin.com/in/mara-loccisano-9a510913/), è trainer e coach, amante della comunicazione, con 12 anni di esperienza. Il Personal Branding è uno dei fulcri principali di ricerca e interesse, affiancato da tematiche inerenti il marketing e la vendita.

Di queste e altre sfumature del Personal Branding ne parleremo venerdì 5 aprile alle ore 18.00 durante un evento co-organizzato da UBG e CULT – Community Hub Perugia (https://www.eventbrite.it/e/biglietti-please-allow-me-to-introduce-myself-lezioni-di-personal-branding-58721600889).

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Il gioco del “Se fossi…” il tuo nuovo business partner, sarei…

Il gioco del “Se fossi…” il tuo nuovo business partner, sarei…

“Se fossi un animale, sarei…”.

“Se fossi un numero, sarei il…”.

“Se fossi un colore, sarei il…”.

E se fossi il tuo nuovo business partner, chi sarei? Cosa farei?

Ogni volta che ci affidano una nuova sfida lavorativa, iniziamo a pensare al migliore approccio per analizzare tutte le variabili che concorrono al possibile e ipotetico futuro successo. Cominciamo a ragionare sulle caratteristiche dei prodotti e/o servizi che offriamo, sul bisogno che andrebbero a soddisfare nei nostri interlocutori, a quanti altri simili siano presenti nel mercato e alle strategie da mettere in pratica. Nel raggiungere un determinato (ed elevato) volume di dati generati dalle risposte che ci siamo dati, dalle ricerche che abbiamo condotto in parallelo e dalle conseguenti rielaborazioni confrontandole, ci accorgiamo che tanto più astraiamo tanto più allontaniamo la nostra visuale dal principale obiettivo: avviare un processo che ci porti a conoscere i nostri potenziali clienti.

È bene prevedere, pianificare e astrarre in base ai propri obiettivi finali, ma risulta fondamentale che queste nostre attività abbiano come focus i soggetti cui tutte le nostre attività sono rivolte: le Personae.

Che siano i nostri possibili clienti o il nostro pubblico, i nostri colleghi o il nostro capo, le Personae rimangono i protagonisti dei nostri pensieri, dei nostri sogni e, a volte, dei nostri malumori.

Questi protagonisti indiscussi nella definizione del nostro piano, e in particolare in base a questo approccio, ci permettono di semplificare la nostra attività di astrazione e ci riportano ai bisogni fondamentali dell’essere umano, il quale abbiamo deciso di incontrare per vendere il nostro servizio e/o prodotto.

Perché dovrebbero acquistare da me?

A una domanda così semplice non si può che rispondere in maniera molto complessa, come di seguito:

Attualmente, il 57% delle decisioni di acquisto, parlo in particolare dell’ambiente business to business, viene presa in maniera indipendente, senza venire a contatto con un venditore, e allo stesso modo, nel 77% dei casi, un buyer non parla con un venditore prima di aver condotto autonomamente una ricerca online. Consideriamo, ulteriormente, che l’88% dei buyer utilizza i social media per informarsi e che il 74% utilizza LinkedIn. Mi sembra più che chiaro di non avere alcuna chance, neanche quella di mettere in pratica le mie capacità di venditore. Sembra che tutte le mie sicurezze derivate dalle attività di pianificazione siano venute meno dal momento che non so come entrare in contatto con i miei interlocutori.

Cosa posso fare?

Anche questa domanda esige una risposta complessa.

L’attuale contesto di business, e mi riferisco ai piani di digital transformation che hanno coinvolto e stanno coinvolgendo tutti i dipartimenti aziendali, ci obbliga a rivedere il modello tradizionale del processo di vendita. Lo scenario in cui un buyer agisce attualmente, gli permette di accedere autonomamente alle informazioni di cui necessita, offrendogli allo stesso tempo anche le soluzioni più performanti. Per tornare alla domanda “Cosa posso fare?”, ritengo che il minimo che si possa fare sia essere almeno presenti negli spazi online dove le personae si vanno a informare, dove possono conversare e scambiarsi opinioni.

IBM, ultimamente, ha incrementato del 400% le sue vendite a fronte della messa in atto di un piano social media a supporto della forza vendite. Le attività di consulenza online e la collaborazione tra i team nel trovare, filtrare e condividere contenuti digitali rilevanti è stata la chiave di questo sbalorditivo successo.

SAP ha incrementato del 32% il proprio fatturato investendo nello sviluppo delle competenze di social selling del proprio team di vendita. Le attività di social selling permettono di entrare efficacemente in contatto con i prospect e coinvolgere attivamente i clienti.

Come posso essere efficace in questo nuovo contesto e dare inizio a un processo di vendita per cui, poi, saranno utili tutte le mie attività di previsione, pianificazione e astrazione? Sembra strano, ma l’attuale contesto caratterizzato da interazioni online, quindi, virtuali, necessità di estrema concretezza operativa. Infatti, con il mio consiglio di partire dalle personae, propongo di partire dai seguenti presupposti o, meglio, buone premesse:

– facilitare il lavoro quotidiano dei nostri prospect;

– rendere i nostri prospect consapevoli e aggiornati;

– portare i nostri prospect a essere ambasciatori nella materia/settore merceologico oggetto del nostro prodotto/servizio all’interno delle loro organizzazioni.

L’approccio che propongo tiene conto delle abitudini dei nuovi buyer B2B e ha lo scopo di raggiungere una maggiore efficacia nel momento in cui si dispongono delle attività finalizzate alla generazione di nuovi lead. Infatti, oltre alla difficoltà nell’entrare nel processo decisionale di acquisto, descritta sopra, tengo conto della media annua di fornitori che i buyer B2B stessi ricevono annualmente, che si attesta tra i 65 e gli 85. Dato che rende ancora più difficoltosa la nostra impresa di cogliere la loro attenzione.

Tutto considerato, risulta fondamentale costruire una propria identità, ahimé, virtuale, negli spazi dove le personae di nostro interesse cercano informazioni, in particolare mi riferisco al social media LinkedIn, che permette la connessione con loro, anche tramite i gruppi di discussione (che meritano la nostra attenzione). Costruire un’identità basata sugli USP (unique selling point) che contraddistinguono il nostro brand, i nostri servizi e/o prodotti, le nostre caratteristiche personali, come individui e professionisti. Un’identità che si manifesta nella completezza e chiarezza delle informazione che forniamo su noi stessi, la nostra azienda e i servizi/prodotti che offriamo per facilitare il lavoro dei nostri interlocutori. Uscendo da un’atmosfera di vendita, che poco piacevole è per tutti, ed entrando in un livello di comunicazione più elevato, consulenziale (advisory). Per il 40% delle proprie attività in LinkedIn, si consiglia, infatti, la creazione di contenuti originali (prodotti in casa), mirati ad attrarre alla lettura, disegnati sulle esigenze dei buyer, dal taglio divulgativo e, sicuramente, coinvolgente.

Ci tengo a concludere con la definizione di Personal Branding: significa impostare una strategia per individuare o definire i tuoi punti di forza, quello che ti rende unico e differente rispetto ai tuoi concorrenti e comunicare in maniera efficace cosa sai fare, come lo sai fare, quali benefici porti e perché gli altri dovrebbero sceglierti.

L’autore dell’articolo, Omar Schiavoni, oltre ad essere co-fondatore dell’Umbria Business Group, è attualmente Key Account and Client Manager Exams presso British Council. Il tema trattato è stato oggetto di un evento co-organizzato da UBG e PagineSì a Terni il mese scorso: https://www.corrieredelleconomia.it/2018/06/08/al-palasi-per-parlare-di-social-selling-il-14-giugno-preparati-a-incontrare-il-tuo-prossimo-cliente/